«Ceci n’est pas une pipe». (Magritte)
Le pregevoli opere dell’autore Daniele Robbiati si fondano su tre pilastri:
le proprie tradizionali arti “di famiglia”,
il suo personale fronteggiare l’inesorabile scorrere del tempo,
la profonda convinzione che il significante possa divenire il significato.
Le tradizionali arti di famiglia. Daniele impara la lavorazione del vetro e del metallo nella propria famiglia. I segreti di bottega, i consigli, l’esperienza sul campo, non sono soltanto un lavoro, ma costituiscono una parte integrante del tessuto familiare, del vissuto quotidiano. Eppure, passo dopo passo, tassello dopo tassello, Daniele diviene da operaio artigiano, da artigiano maestro e da maestro artista. Una sana curiosità spinge Daniele alla sperimentazione nell’uso delle lamiere di ferro come tele (Fake mirror) e nell’uso del vetro, per scoprire nuove forme e stili, per raggiungere nuove frontiere nell’arte.
«Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso
e si usano le opere d’arte per guardare la propria anima.»(George Bernard Shaw)
Fronteggiare l’inesorabile scorrere del tempo. Daniele avverte lo scorrere inesorabile del tempo, la desolazione di fronte all’impotenza umana, cosciente dell’effimero (Human Desolation). Eppure, l’artista decide di combattere Kronos su due fronti: da una parte servendosi di esso per realizzare la sua opera, dall’altra suggellando la bellezza nell’arte, bloccandola “per sempre” e rendendola fruibile all’osservatore/lettore eternamente. Ecco che allora la ruggine ed il suo processo di corrosione-erosione, simbolo e segno dell’incedere del panta rei, diviene un elemento fondamentale dell’opera (Slave eyes): Daniele dipinge col colore del tempo. Ecco che, la cristallizzazione vitrea dell’arte diviene un carpe diem, un fermare e catturare l’attimo di meraviglia. Liberarsi dal giogo della consapevolezza del finito, per immergersi nell’infinito (Absolut freedom).
Il significante diviene significato. Questo passaggio ideologico è fondamentale. Anzitutto la materia, ovvero il significante, è elevata qui al ruolo di significato. Il ferro e la sua lega acciaio non sono più solo il materiale o lo stile, ma sono proprio l’opera (Fuck Everything). La smerigliatrice diviene il pennello, il processo di saldatura si muta in un percorso artistico (Music connecting people). Un percorso biunivoco, perché riesce a vedere anche il significato mutare in nuovi significanti. L’opera, infatti, può avere anche un utilizzo nella vita umana, assumendo forme e funzionalità diverse, come nel design e nell’arredamento.
È giunto il momento di sconfiggere il tempo e di catturare la bellezza…
La famosa frase di Magritte «Questa non è una pipa» si incarna qui nel ferro e nel vetro:
«Questa non è una lastra d’acciaio».
Dantebus Edizioni
Daniele Robbiati si avvicinò al campo dell’artigianato in tenera età grazie a suo nonno, esperto vetraio,che gli tramandò i segreti del mestiere: gli insegnò l’arte di creare qualcosa di unico e speciale lavorandolo con le proprie mani.
processo estatico della trasformazione creativa.
In questo modo l’artista pone in essere pezzi unici e carichi di passione, attraverso questo singolare elemento. Ruggine non come corrosione bensì come sfumatura d’arte, colore che dona bellezza a un pezzo di metallo, processo di malinconia del metallo deteriorato che è cristallizzata e bloccata per sempre dalla lastra di vetro in un attimo spirituale, che la trasforma in lusso. Realizzare queste opere per Daniele significa non solo creare mobili o meri oggetti di arredamento, significa ritrovare in un unico atto il ricordo di suo nonno, che continua a vivere nel vetro lavorato, e la mano ferma del padre, che scorre luminosa sul riflesso del metallo.